lunedì 4 maggio 2015

Biogas, un’opportunità per rilanciare l’agricoltura pontina Viaggio all’interno dell’Agri Power Plus, tra energia, coltivazioni all’avanguardia e sviluppo del territorio

Questo articolo è il frutto di un lavoro autonomo di approfondimento fatto dal giovane giornalista pontino Andrea Drudi. Purtroppo questo lavoro non è mai stato pubblicato sulla stampa locale a causa della chiusura del quotidiano su cui scriveva Drudi. Per sua gentile concessione lo pubblichiamo sul nostro blog.

Biogas, un’opportunità per rilanciare l’agricoltura pontina
Viaggio all’interno dell’Agri Power Plus, tra energia, coltivazioni all’avanguardia e sviluppo del territorio
Di Andrea Drudi

Il biogas è diventato negli ultimi mesi un argomento molto sentito di dibattito tra associazioni ambientaliste, cittadini e amministratori locali, ma al di là dei discorsi generici e poco chiari su cosa sia effettivamente e se sia pericoloso non se ne sà molto. Per fare chiarezza e capire che tipo di produzione sia è necessario fare un’attenta analisi di cosa sia una centrale a Biogas e che tipo di impatto abbia sul territorio. Per questo è stata presa in esame l’azienda agricola Agri Power Plus di borgo Bainsizza proprietaria di un impianto a biogas entrato in funzione a Novembre 2011 che produce annualmente 6.700.000 KWh termici che vengono utilizzati per il riscaldamento delle serre dell'azienda di Selecta Italia del Gruppo Selecta World, oltre a circa 7.800.000 KWh elettrici che vengono invece ceduti alla Rete Elettrica Nazionale.
L’impianto fondamentalmente funziona come un grande allevamento zootecnico che emula il processo naturale della digestione dei ruminanti. Il biogas è infatti ricavato dal processo di digestione anaerobica di matrici ad elevato contenuto organico, come materiali di derivazione agricola quali insilati di mais, triticale, orzo, lolietto, erbai, nonché effluenti zootecnici e sottoprodotti organici dell’industria agro-alimentare non dannosi per la salute umana. Il processo di fermentazione avviene in vasche chiuse denominate digestori dove, in assenza di ossigeno, si produce del biogas (costituito principalmente da metano) per alimentare l’impianto di cogenerazione che a sua volta produce calore ed energia elettrica: la stessa fermentazione che avviene in natura quando i prodotti vengono lasciati a decomporsi.
Il materiale di risulta del processo di fermentazione è il digestato: una sostanza organica, inodore, che contiene elementi importanti per la fertilizzazione dei campi come l’azoto, il fosforo ed il potassio. Un prodotto utilizzato per arricchire di elementi nutritivi i terreni da coltivare, terreni che con l’utilizzo intenso dei concimi chimici hanno perso gran parte delle sostanza organica; recentemente il digestato è stato autorizzato anche dalla Comunità Europea per l’utilizzo nelle colture biologiche.
L’impianto rispetta tutti gli standard previsti dalla legge per tutelare la salute dei cittadini e dell’ambiente e come spiegato da Lamberto Gravina, presidente e amministratore delegato di Agri Power Plus: “noi operiamo rispettando tutte le regole, inoltre i nostri cancelli sono sempre aperti, chiunque può farci visita e toccare con mano il nostro modus operandi, sentire con le proprie orecchie i “rumori”, e con il proprio naso, gli “odori”. L’energia rinnovabile prodotta dall’impianto (elettrica e termica) da il suo “piccolo contributo” al nostro paese per ridurre i consumi da fonti fossili (gas e petrolio), ormai sempre più prossime ad esaurirsi, causa inoltre dei gravi cambiamenti climatici che osserviamo negli ultimi anni; questa energia consente inoltre di ridurre la dipendenza italiana dai grandi produttori esteri (vedi ..Russia, Libia ed altri)”.
Per comprendere realmente il lavoro dell’Agri Power Plus bisogna fare anche un giro per le campagne circostanti l’impianto che una volta erano nel pieno dell’attività agricola, ma che adesso a causa della crisi del settore sono sempre più incolte.

Proprio grazie al biogas infatti diversi terreni stanno tornando ad essere coltivati e cosa molto importante anche con metodi di coltivazione all’avanguardia che non prevedono le classiche lavorazioni agricole quali l’aratura, la morganatura e l’utilizzo degli erpici rotanti che notoriamente richiedono tanto carburante e quindi tante emissioni, ma necessitano solo di particolari seminatrici che, in un solo passaggio, consentono di seminare sui terreni non lavorati con un enorme vantaggio dal punto di vista ambientale ed economico.
Nel complesso l’Agri Power Plus con l’energia elettrica e termica prodotte porta ad una riduzione diretta delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera di circa 7.700 tonnellate l'anno, cui vanno sommate le emissioni risparmiate per effetto del mancato utilizzo di fertilizzanti chimici che, come noto, sono fortemente climalteranti. Dal punto di vista ambientale l’azienda è costantemente monitorata, infatti come spiegato dallo stesso Gravina “i controlli sulle emissioni vengono fatti due volte l’anno, inoltre l'Arpa può farci visita a sorpresa quando vuole”. Nel caso del controllo ad aprile 2014 in cui è stato trovato un valore lievemente fuori norma nelle emissioni in atmosfera (NOx), bisogna specificare che il cogeneratore andava a circa il 60% della sua potenza nominale, in quanto stavamo cambiando la ricetta perché avevamo terminato gli insilati di mais, per cui è stata effettuata la misura sul motore che in quel momento andava sottoregime e che è stato forzatamente spinto al 100%. I risultati non potevano che essere inattendibili. Abbiamo infatti ri-effettuato a nostre spese tutti i controlli sia subito dopo l’evento che recentemente e tutti i valori risultano perfettamente nella norma. In ogni caso da allora monitoriamo bimestralmente le emissioni”. “Recentemente abbiamo inoltre adottato un nuovo sistema di ricircolo delle acqua reflue aziendali che vengono utilizzate nel processo di produzione del biogas, eliminando completamente alcun tipo di scarico”.
L’azienda infine è molto attenta nel comunicare le proprie iniziative e la vita operativa dell’impianto: ultimo recente esempio, l’intervento di manutenzione straordinaria, necessario dopo le prime 25.000 ore di funzionamento, per effettuare il quale è stato spento il cogeneratore per circa due settimane.
Nella società moderna c’è un crescente bisogno di energia che indubbiamente ha un impatto sull’ambiente, ma utilizzando metodi di produzione come il biogas con i più elevati standard qualitativi si può notevolmente ridurre il livello di emissioni creando allo stesso tempo nuove opportunità di sviluppo del territorio, aiutando in maniera importante la bilancia dei pagamenti del nostro paese: il solo impianto di Agri Power Plus produce energia elettrica e termica “totalmente italiana” equivalente all’energia producibile da oltre 2.400 tonnellate di petrolio acquistate dall’estero.


L’impatto dell’Agri Power Plus sul territorio pontino
Per produrre il biogas la centrale di Bainsizza impiega circa 22 mila tonnellate all’anno di biomasse, di cui 70% costituito da insilati di cereali (mais, sorgo, triticale, orzo e avena) ed un 30% da sottoprodotti dell’agricoltura. I cereali sono prodotti in massima parte dalla stessa Agri Power Plus su circa 120 ettari di terreni situati nei pressi all’impianto stesso, entro un raggio di circa 12 km. Si tratta di terreni che, a differenza di quanto si crede, non sono stati sottratti ad altre colture, anzi sono stati resi di nuovo coltivabili. Infatti la stragrande maggioranza dei terreni affittati si trovavano in stato di abbandono già da diversi anni a causa della difficoltà in cui si trova il settore agricolo ed anche perché si tratta di terreni poveri non particolarmente adatti alla coltivazione intensiva. “Il mais che produco per l’Agri Power Plus non sottrae assolutamente terreno ad altre colture dedicate al consumo umano, anzi per me è un’opportunità di lavoro importante”, spiega un rappresentante della ditta Eredi Bressan, uno dei contoterzisti per l’agricoltura del territorio.
Un’altra parte dei cereali necessari ad alimentare l’impianto vengono acquistati direttamente dagli agricoltori locali che trovano così un nuovo acquirente sicuro alle loro produzioni. “In un periodo di crisi profonda coltivare mais o triticale per il biogas è un traino importante per la mia azienda”, spiegano Silvano Bressan e Costantino Marasca, due agricoltori locali che producono biomassa proprio per Agri Power Plus.
I sottoprodotti agricoli, vengono invece forniti da aziende e industrie alimentari anch'esse site nelle vicinanze dell'impianto a Biogas. Una parte del lavoro dell’azienda consiste inoltre nella ricerca di terreni attigui all’impianto in modo da cercare di arginare il fenomeno frequente delle micro aziende, promuovendo accordi tra i diversi proprietari di terreni limitrofi frazionati, principalmente a causa delle successioni ereditarie, per ricostituire dei lotti sufficientemente estesi per essere economicamente convenienti da coltivare. Agri Power Plus poi li affitta per averli nella propria disponibilità, come ad esempio il terreno di proprietà della famiglia Vallerani (quattro proprietà diverse) che, grazie al contratto di affitto stipulato con l’azienda di Bainsizza, oltre ad aver risolto il problema di un lotto da tenere in ordine, ha anche dei ricavi significativi. Tiziana Vallerani ci ha detto: “Grazie a quest’azienda adesso ho un terreno curato e che mi genera una rendita; la coltivazione infine non mi crea disagio ed ha un impatto molto basso sulla nostra vita quotidiana”. In conclusione le piccole aziende di produzione del biogas, come l’Agri Power Plus per essere efficienti e sostenibili devono rispettare alla lettera la regola della filiera corta in modo da avere un impatto positivo e non invasivo per l’economia del luogo.


Il biogas in Italia è un nuovo modo di fare agricoltura
In Italia ci sono oltre 1.200 impianti a biogas già attivi che possono potenzialmente coprire il 10% del fabbisogno energetico nazionale e garantire, oltre alla produzione elettrica e termica, fertilizzanti naturali e biocarburanti interamente made in Italy utilizzando una tecnologia pulita e sicura. Non bisogna infatti dimenticare che ogni tonnellata di digestato che viene utilizzata per ammendare i terreni, contribuisce a ridurre, oltre alle emissioni in atmosfera, anche il consumo dei carburanti fonti fossili necessari per la fabbricazione dei fertilizzanti chimici comunemente utilizzati.
Negli ultimi 5 anni il numero di impianti a biogas in Italia è cresciuto del 490%, mentre la potenza installata è aumentata del 267,4%, raggiungendo gli 8 mila GWh: il 10,45 per cento dell'energia elettrica totale prodotta da fonti rinnovabili. “Il biogas agricolo - spiega Piero Gattoni, presidente del Consorzio Italiano Biogas - si basa su una forte sinergia tra il settore agricolo e quello industriale, rappresentato da operatori prevalentemente italiani. L'impresa agricola assumerà il ruolo di una “biogas refinery”: attraverso i principi del biogas fatto bene, l'imprenditore agricolo sarà in grado di produrre energia elettrica, termica, biocarburanti, bio plastiche e fertilizzanti, valorizzando i reflui e gli scarti d'agricoltura". Il GSE, Gestore dei Servizi energetici, e il Consorzio Italiano Biogas, hanno di recente sottoscritto un protocollo di intesa che consolida il rapporto di collaborazione esistente da tempo tra i due enti e che ha contribuito alla rilevante crescita del settore negli ultimi 5 anni. L'Italia, con oltre 1200 impianti e una potenza installata di circa mille MWh, è infatti il secondo mercato europeo dopo la Germania nel settore del biogas. Se confrontato con le altre bioenergie, il biogas presenta una serie di punti di forza, tra cui l’elevato rendimento energetico (per esempio rispetto a caldaie e motori a olio vegetale) ed elettrico rispetto al consumo totale di energia (35-40%) e per ettaro coltivato. Inoltre è una fonte energetica che impiega una vasta gamma di materie prime e di residui di produzione agroalimentare e può essere purificato in metano ed essere immesso nella rete del gas o utilizzato come carburante nei trasporti. Proprio per l’abbondanza di matrici utilizzabili, infatti, il metano da biogas è oggi l’unico biocarburante che potrà consentire all’Italia di raggiungere l’obiettivo del 10% di carburanti alternativi al 2020, imposto dalla direttiva UE sulle Fonti Rinnovabili.

Andrea Drudi








venerdì 20 marzo 2015

Nuovo regolamento urbanistico sulle produzioni di energia. Non si blocchi lo sviluppo delle energie rinnovabili.

COMUNICATO STAMPA  

In questi giorni la commissione urbanistica del comune di Latina, la stessa che sembra essere molto distratta in merito alle varianti urbanistica che hanno concesso in questi anni di speculare sul verde pubblico, si appresta ad approvare un regolamento sullo sviluppo delle energie rinnovabili sul territorio comunale.
Nulla da obiettare sull'opportunità di regolamentare lo sviluppo delle fonti energetiche alternative alle fonti fossili ed al nucleare sul territorio comunale. Ma regolamentare dovrebbe significare regolare e guidare nella giusta direzione lo sviluppo sostenibile della nostra Città.
La bozza di regolamento presentata in questi giorni in commissione è invece un obbrobrio dettato evidentemente dall'emotività con cui alcuni cittadini stanno cercando di contrastare alcuni progetti. Si chiama in gergo sindrome NIMBY che in inglese significa, traducendolo, “non nel mio giardino”. Un atteggiamento distruttivo volto a dire “NO!” a tutti costi contro qualcosa che non si conosce e che non lo si vuole vicino casa propria.
Le fonti rinnovabili sono individuate dall'art. 2 Art 2 D.Lgs 28/2011 mutuando la Direttiva 2003/54/CE nel modo seguente energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas”.
Il loro sviluppo è una delle sfide più importanti che si è posta l'Europa ed anche il nostro Paese per affrontare la gravissima crisi climatica che attraversa il Pianeta e per limitare l'impiego di risorse esauribili come, appunto, le fonti fossili, carbone e petrolio in testa, di cui l'Italia ha scarsa disponibilità.
Il regolamento in oggetto ignora completamente il fatto che la legge nazionale, in linea con le direttive europee nel settore, sostiene lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili considerandolo prioritario e strategico e prevedendo significative semplificazioni che non ne limitino la diffusione.
In particolare il D.Lgs. 387/2013 all'articolo 12 comma uno le fonti rinnovabili vengono definite come di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti”.
L'impatto ambientale ambientale delle fonti rinnovabili termiche come biomasse e biogas di potenza inferiore ai 3MW è considerato ai sensi dell’allegato IV alla parte V del D. Lgs. 152/06 “ad emissioni in atmosfera poco significative”.
Il regolamento che è in corso di discussione presenta, alla luce di quanto suddetto, molte incongruenze ed illegittimità di carattere normativo. I presupposti stessi del regolamento sono fuorvianti visto che all'interno delle materie regolamentate si associano fonti rinnovabili di vario tipo assieme a fonti non rinnovabili e, addirittura, a stazioni enemometriche, che nulla hanno a che fare con la materia che doveva essere regolamentata.
Vengono inoltre posti dei limiti illegittimi sulla potenza massima degli impianti, siano essi di biomassa o fotovoltaici, che secondo quanto scritto non devono superare il 120% del fabbisogno dell'unità aziendale in cui vengono realizzati, prevedendo che non si possano realizzare impianti a biomassa superiori ai 200 kw di potenza oppure impianti fotovoltaici superiori ai 5 KW di potenza nominale! Questi limiti non sono giustificati da alcuna norma ed il Comune non ha la competenza per stabilire tali limitazioni.
Ancora più assurda l'introduzione in questo regolamento urbanistico sulle energie rinnovabili di limitazioni sulla base della Direttiva Seveso. Avevamo letto in questi giorni diversi interventi di comitati ed esponenti politici della necessità di applicare la Direttiva Seveso per l'autorizzazione di impianti di biomassa e biogas. Mai avremmo creduto che i tecnici del Comune, che dovrebbero essere professionisti e competenti in materia, avrebbero introdotto queste previsioni.
Sulla base di quanto espresso dall'allegato 2 della Direttiva Seveso, infatti, le prescrizioni della direttiva stessa si applicano, ad esempio, nel caso di impianti che usano gas per la produzione energetica, al di sopra della soglia delle 50 tonnellate di gas.
Impianti a biogas sui il Comune ha competenza non sono impianti a rischio di incidenti rilevante ai sensi della direttiva Seveso in quanto presentano stoccaggi di gas che come peso totale è di gran lunga inferiore alle 50 tonnellate previste dalla normativa.
Altra cosa che riteniamo grave ed oggetto di illegittimità è prevedere la distanza minima di 3 km dai centri urbani come ulteriore vincolo alla collocazione degli impianti.
Questa previsione non si giustifica con alcun aspetto di pericolosità degli impianti a biomassa o biogas ed è illegittima in quanto l’allegato 3 alla parte IV del DM 10 settembre 2010 precisa al comma d) che l’individuazione di aree non idonee non può riguardare porzioni significative del territorio né tradursi in fasce di rispetto non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Tale tutela è, comunque, di competenza regionale.
Come già successo con l'applicazione illegittima di una norma urbanistica pensata per limitare lo sviluppo di impianti per la gestione dei rifiuti ad un impianto di produzione a biomassa agricola di piccole dimensioni che ha registrato la sospensiva del TAR, il Comune di Latina, se dovesse approvare tale regolamento, si esporrà sicuramente ad altre impugnazioni con il sicuro annullamento del regolamento stesso con danno per le casse comunali.
Speriamo che, nonostante l'approvazione in commissione, tale regolamento venga poi bocciato in Consiglio comunale. Lo speriamo perché auspichiamo che venga effettivamente redatto un regolamento comunale sulle energie rinnovabili che ne prenda per mano lo sviluppo senza svilirlo e nullificare il grande potenziale che tutte queste forme di energia alternativa hanno per il nostro territorio. Riteniamo che di questa materia debbano occuparsene in modo congiunto non solo la Commissione urbanistica ma anche la Commissione Ambiente ed Attività produttive. Ricordiamo, per concludere, che circa un anno fa il Comune ha approvato un PAES, Piano d'Azione per l'Energia Sostenibile, che impegna il Comune a sostenere lo sviluppo delle fonti rinnovabili e l'efficienza energetica al fine di conseguire l'abbattimento delle emissioni di CO2 in atmosfera, contribuendo così al perseguimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

Il Circolo “Arcobaleno” Legambiente di Latina

giovedì 5 marzo 2015

COMUNICATO STAMPA: NUOVE TECNOLOGIE PER RISOLVERE IL PROBLEMA DEI RIFIUTI SOLO RETORICA

Sentiamo in questi giorni parlare con annunci entusiasti dell'imminente avvio di una nuova fase sul fronte della gestione e trattamento dei rifiuti grazie alla realizzazione di impiantistica di nuova generazione per il trattamento meccanico biologico dei rifiuti indifferenziati.

Piuttosto di essere entusiasti e speranzosi per questa “novità” tecnologica, bisognerebbe prendere atto che la necessità di realizzare nuovi impianti di TMB rappresenta una grande sconfitta per il territorio.

A guardare, infatti, i dati relativi al potenziale di trattamento degli impianti esistenti ed osservando i valori percentuali della raccolta differenziata del bacino provinciale, ferma al palo del 22%, ci si rende condo che la soluzione a tutti i mali derivanti dalla non corretta gestione dei rifiuti è sempre stata una sola: la raccolta “porta a porta” mai attuata capillarmente nel Capoluogo e solo parzialmente o tardivamente avviata negli altri comuni della Provincia.

Quella di far credere che una tecnologia rappresenti il “deus ex machina” della corretta gestione dei rifiuti è, in ultima analisi, una retorica utile a stare sulla stampa ma che non aiuta certamente a migliorare la situazione.

La situazione c'è già, lo ripetiamo. Si chiama raccolta “porta a porta”. Una soluzione che in un colpo solo contribuirebbe, non soltanto a ridurre la quantità di rifiuti indifferenziati da inviare al trattamento meccanico biologico, e quindi in discarica ed inceneritori, ma contribuirebbe a migliorare il decoro urbano, a ridurre il peso fiscale della tassa sui rifiuti determinando un flusso economico positivo per i comuni, a creare posti di lavoro necessari nelle operazioni di raccolta e, non ultimo, creare le condizioni per lo sviluppo per le filiere industriali di recupero e lavorazione della materia prima seconda.

Affermare che contemporaneamente alla realizzazione di nuovi impianti, se pure tecnologicamente avanzati, si debba partire con la raccolta differenziata spinta è una contraddizioni in termini poiché chiunque gestisca un TMB sarebbe messo in difficoltà da un progressivo aumento della raccolta differenziata ed una contemporanea diminuzione della frazione indifferenziata da trattare.
Di conseguenza, nello scenario previsto per legge di una raccolta differenziata almeno al 65%, potrebbe succedere che una volta realizzati gli impianti, per sostenerne i piani di ammortamento, i gestori facciano pressioni sulla classe politica in Regione affinché arrivino nella Provincia di Latina i rifiuti da altre provincie, come quella di Roma, contravvenendo, così, al principio di prossimità sancito per legge.

La crisi nel sistema di gestione dei rifiuti, non nasce dal nulla, ma da scelte sbagliate, anche molto recenti, che, ad esempio, sul Comune di Latina hanno portato ad investire sulla raccolta stradale e non sul “porta a porta”. A tal proposito speriamo che presto venga pubblicata la gara per l'affidamento del servizio di raccolta “porta a porta” così come annunciato dall'Amministrazione comunale.
Intanto, dalla Regione Lazio, dovrebbero arrivare messaggi non contraddittori in materia.


Circolo Arcobaleno Legambiente di Latina